Casa a Corte

L’idea di un abitazione come un insieme di volumi architettonici contigui affacciati su uno spazio centrale da proteggere da contaminazioni esterne è alla base del progetto abitativo della casa a corte.

Salvaguardare la vita privata della famiglia e i loro beni è sempre stato, fin dall’antichità, parte integrante del progetto e se la forma chiusa è proposta a difendere lo spazio contenuto allo stesso modo può accogliere eventuali amici e parenti del nucleo familiare.

 

Definizione da WikipediA

Una casa a corte è un tipo di casa – spesso una grande casa – in cui la parte principale dell’edificio è disposta attorno a un cortile centrale. Molte case che hanno cortili non sono case a corte del tipo trattato da questo articolo. Ad esempio, le grandi case hanno spesso piccoli cortili circondati da stanze di servizio o corridoi, ma le stanze principali non sono disposte attorno a un cortile. 

Le stanze principali delle case a corte spesso si aprono sul cortile e le pareti esterne possono essere senza finestre e / o semi-fortificate e / o circondate da un fossato. Case a corte di questo tipo occupano una posizione intermedia tra un castello o una fortezza , dove la difesa è la considerazione principale del progetto e piani più moderni in cui la difesa non è affatto una considerazione. 

Storia

La casa a corte fa la sua prima apparizione ca. 6400-6000 a.C. nel sito neolitico Yarmukian a Sha’ar HaGolan, nella valle centrale del Giordano, sulla riva settentrionale del fiume Yarmouk, conferendo al sito un significato speciale nella storia dell’architettura. Le case sono costituite da un cortile centrale circondato da diverse piccole stanze. Si estendono tra 250 e 700 metri quadrati. La costruzione monumentale su questa scala è sconosciuta altrove durante questo periodo.

In architettura romana case a corte sono state costruite intorno ad un atrio . Le case a corte sono comuni anche nell’architettura islamica. 

Case a corte interna costituite da più residenze separate sono state costruite in molte regioni ed epoche, tra cui le prime dinastie cinesi e il periodo Inca. Nel corso della storia la casa a corte ha avuto un ruolo importante e solo negli ultimi due secoli il suo uso è stato trascurato. Recentemente, è stata data maggiore attenzione alla casa a corte, come un tipo per risolvere una serie di problemi di densi alloggi nel centro città.

Le case a corte sono anche una forma di abitazione costruita nelle isole britanniche alla fine dell’età del ferro. Sono limitati alla penisola di granito di Land’s End e alle Isole di Scilly , nel Galles e in altre aree montuose . Esempi sono a Chysauster e Carn Euny in Cornovaglia .

Un altro tipo di casa a corte fu costruita dai proprietari terrieri in Inghilterra nel tardo Medioevo e nel periodo Tudor. Queste erano case unifamiliari più grandi delle case padronali costruite dai signori minori nei secoli precedenti e meno fortificate dei castelli costruiti dai magnati nei secoli precedenti. Gli esempi includono nel tardo Tudor e all’inizio del periodo Stuart una transizione avvenuta verso tracciati più pianificati e simmetrici. Questo cambiamento è illustrato dal contrasto tra la Hatfield House e il precedente Hatfield Palace , che è stato costruito per sostituirlo.

Nei villaggi rurali dell’India , come Andhra Pradesh, queste case a corte sono chiamate Manduva Logili Illulu. Le case a corte costruite nell’antica India sono basate sul vasto shastra , proposto nella mitologia da Maya Danava . Con l’economia in ripresa in India, molte nuove case vengono costruite secondo i principi del vasto shastra. 

Abitazione Romana

Casa Romana Da Wikipedia. l’enciclipedia libera.

«Vista l’importanza della città e l’estrema densità della popolazione, è necessario che si moltiplichino in numero incalcolabile gli alloggi. Poiché gli alloggi al solo piano terra non possono accogliere tale massa di popolazione nella città, siamo stati costretti, considerando questa situazione, a ricorrere a costruzioni in altezza.»    (VitruvioDe architectura, II, 8, 17)

La casa romana, dovendo tener conto nella sua struttura architettonica del poco spazio a disposizione per la sua edificazione, contrariamente a quello che si pensa, era molto simile a quella dei nostri giorni.

Ricostruzione ipotetica dell’interno di una domus romana. 

Di Lawrence Alma-Tadema (1836-1912) , Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3411338

L’aumento della popolazione e lo spazio edificabile

Nell’ipotesi che la Roma imperiale si estendesse per una superficie di circa 2.000 ettari, questa era largamente insufficiente per le abitazioni di una popolazione calcolata di quasi 1.200.000 abitanti. Esistevano una serie di edifici pubblici, santuari, basiliche, magazzini il cui uso abitativo era riservato a un esiguo numero di persone: custodi, magazzinieri, scribi ecc. Bisogna tener conto poi, nel restringimento dello spazio da utilizzare per le abitazioni, di quello occupato dal corso del Tevere, dai parchi e giardini che situati sulle pendici dell’Esquilino e del Pincio, dal quartiere Palatino, riservato esclusivamente all’imperatore e infine dal largo terreno del Campo Marzio i cui templi, palestre, tombe, portici occupavano 200 ettari dai quali però le abitazioni erano escluse per il rispetto dovuto agli dei.

Se si tiene conto dell’insufficiente sviluppo tecnico dei trasporti si può sostenere che i Romani fossero condannati ad abitare in limiti territoriali angusti, quali erano quelli fissati da Augusto e dai suoi successori. I Romani incapaci di adeguare il territorio abitativo all’aumento della popolazione, a meno di non frantumare l’unità della vita dell’Urbe, dovettero cercare come rimedio all’esiguità del territorio e alla strettezza delle strade cittadine lo sviluppo in altezza delle loro case.

Solo dopo gli studi pubblicati ai primi del Novecento sugli scavi archeologici di Ostia e sui resti trovati sotto la scala dell’Ara Coeli, su quelli vicini al Palatino in via dei Cerchi, hanno consentito di avere la reale concezione della struttura della casa romana fino ad allora confusa con le case trovate negli scavi di Pompei ed Ercolano dove prevaleva la classica domus dei ricchi che era molto diversa dalle insulae che costituivano la maggioranza in Roma: tra queste ultime e le domus c’è la stessa differenza che oggi potremmo vedere tra un palazzo e un villino in una località di villeggiatura.

Domus  Da Wikipedia. l’enciclipedia libera.

La domus era una tipologia di  abitazione utilizzata nell’antica Roma (sopratutto dalle famiglie ricche). Era un domicilio privato urbano e si distingueva dalla villa suburbana, che invece era un’abitazione privata situata al di fuori delle mura della città, e dalla villa rustica, situata in campagna e dotata di ambienti appositi per i lavori agricoli. La domus era l’abitazione delle ricche famiglie patrizie, mentre le classi povere abitavano in palazzine chiamate insulae.

 

Pianta e assonometria di una tipica domus romana.
1. fauces (ingresso)
2. tabernae (botteghe artigiane)
3. atrium (atrio)
4. impluvium (cisterna per l’acqua)
5. tablinum (locale principale della domus, salotto/studio, situato in fondo all’atrium)
6. hortus (orto/giardino)
7. triclinium (sala da pranzo)
8. alae (ambienti laterali)
9. cubiculum (camera)

Evoluzione delle case romane

Alto arcaismo

Alla metà dell’VIII secolo a.C. i primi re e aristocratici romani trasformano le prime capanne (casae) in domus; queste ultime sono costituite da più ambienti, si affacciano su una corte e hanno una grande sala. La tecnica edilizia utilizzata è ancora quella tradizionale: muri in argilla e tetto di stoppie. Alla metà del VI secolo a.C. si cominciano a costruire muri con zoccolo in scheggioni di tufo ed elevato in argilla e, per la prima volta, il tetto in tegole e coppi. Alla fine del VII secolo a.C. anche gli elevati sono edificati in scaglie di tufo e le porte hanno stipiti in tufo lavorato.

Età arcaica e medio-repubblicana

Alla metà del VI secolo a.C. viene importato dall’Etruria un nuovo modello di abitazione: la casa che si sviluppa attorno all’atrio, parzialmente ricoperto dall’incontro delle quattro falde del tetto, sorrette da travi orizzontali. Dall’apertura dell’atrio (compluvium) entravano la luce e l’acqua piovana, raccolta in una vasca (impluvium) e di qui fatta defluire in una cisterna sotterranea. La tecnica costruttiva è ancora caratterizzata da muri in scheggioni di tufo lavorati in opera quadrata irregolare. Questo modello di abitazione durò tre secoli. Si può affermare che il primo esempio di casa ad atrio a Roma sia quella di Tarquinio Prisco, sul Palatino, poi domus publica.

Periodo tardo-repubblicano e prima età imperiale

Tra la fine del III secolo a.C. e la metà del II secolo a.C. la casa romana trova il suo aspetto canonico che rimarrà stabile fino al I secolo d.C. Fino all’epoca di Nerone non esisteva un piano urbanistico regolare, e anche sotto l’imperatore la regolamentazione si estende a una parte del Palatino. Maggior regolarità è data dall’affiancamento di diverse case ad atrio anche se, in generale, le case contornavano in quota le alture irregolari generando forme assai irregolari. L’atrio di forma arcaica si trasforma in atrio canonico nel III secolo a.C.; l’esempio più antico è l’atrium regium della domus publica di Augusto, ricostruita nel 210 a.C., con peristilio e  criptoportico. Comincia a diffondersi la tecnica costruttiva ad opera cementizia opus caementicium, simile al cemento odierno, ma privo delle armature in ferro. Dal 110 – 120 d.C. si cominciano a costruire le case ad appartamenti sovrapposti, le insulae, in cui abitavano il proprietario e gli affittuari. Successivamente ripresero le grandi dimore, la cui magnificenza e vastità si può comprendere osservando la Villa del Casale di Piazza Armerina in Sicilia. Le rovine delle case romane sono state un modello fin dall’Italia del tardo medioevo.

Stanze della domus

La domus si sviluppava in orizzontale ed era composta da molte stanze con funzioni diverse: l’ingresso bipartito in vestibulum e fauces (da cui si accedeva all’atrium, che era la stanza centrale subito dopo l’ingresso, da cui si poteva accedere agli altri ambienti che vi si affacciavano), le stanze da letto dette cubicula, la sala dei banchetti detta oecus tricliniare o triclinium (dove gli ospiti potevano mangiare sdraiati sui letti tricliniari), alcuni ambienti laterali detti alae, il tablinum (locale adibito a salotto o studio solitamente posto in fondo all’atrium). Le stanze che si affacciavano direttamente sulla strada erano solitamente affittate a terzi per essere adibite a negozi o botteghe artigiane ed erano denominate tabernae. Nel retro della casa all’aperto c’era l’hortus, il giardino/orto domestico.

Le domus più prestigiose erano più ampie ed erano composte di due parti principali: la prima gravitava attorno all’atrio, la seconda attorno al peristylium, un grande giardino porticato su cui si affacciano altre stanze, ornato solitamente da alberi da frutto, giochi d’acqua e piccole piscine. Avevano il balneum, il bagno, che era l’esatta copia delle terme (comprendeva infatti l’apodyterium, lo spogliatoio, il calidarium, la piscina dell’acqua calda, il tepidarium, piscina dell’acqua tiepida, per arrivare al frigidarium che era la piscina con l’acqua fredda). In alcune ville più ricche si poteva trovare anche la bibliotheca, la diaeta, un padiglione per intrattenere gli ospiti ed il solarium, una terrazza che poteva anche essere coperta. Generalmente la domus signorile non era dotata di finestre sull’esterno, o, se vi erano, erano molto piccole. L’illuminazione era fornita dalla luce solare che entrava dal compluvium dell’atrio e illuminava di riflesso le stanze ad esso adiacenti. Dal compluvium entrava, oltre che la luce anche l’acqua piovana che veniva raccolta in una vasca o cisterna quadrangolare al centro dell’atrio detta impluvium.

Atrium, cuore della domus

Nei tempi più antichi nell’atrium ardeva il focolare domestico attorno al quale si svolgeva la vita familiare. Questa usanza fu presto abbandonata ma restò a simboleggiare il focolare una piccola piattaforma rialzata interna all’impluvio, il cartibulum. Normali pertinenze dell’atrium sono una cappelletta per i Lari, (lararium) e la cassaforte domestica (arca). Dell’atrium Vitruvio descrive cinque tipologie:

  • Tuscanicum, il tipo più antico e più largamente diffuso in cui il peso del tetto è sorretto unicamente dalle travature orizzontali

  • Tetrastylum, con una colonna a ciascuno dei quattro angoli dell’impluvium. Ne è un esempio la Casa delle Nozze d’Argento di Pompei.

  • Corinthium, con un maggior numero di colonne e un’ampia apertura di luce

  • Displuviatum, di cui manca una sicura documentazione archeologica, con pendenza del tetto verso le pareti laterali che faceva sgrondare l’acqua in docce ai quattro angoli.

  • Testudinatum, privo del compluvium, quindi interamente chiuso, utilizzato solo in ambienti piccoli e di scarsa importanza.

In linea con l’ingresso, nella parete opposta dell’ atrium, si apriva il tablinium che affacciava a sua volta sul peristylium. Probabilmente non era chiuso da porte ma da assiti e da tende, che nella stagione estiva potevano essere lasciate aperte offrendo ai visitatori una fuga prospettica di nobilissimo effetto.

Arreedamento domestico

Le stanze potevano essere pavimentate con tecniche speciali di diverso pregio: cocciopesto, piastrelle di terracotta, mosaici e preziosissimi pavimenti in marmo detti sectilia. Le pareti e a volte anche il soffitto erano decorate con affreschi.

cubicula erano forniti di semplici letti in legno dove si poteva dormire.

Nell’oecus tricliniare erano presenti tre letti tricliniari utilizzati per mangiare durante i banchetti, rimanendo sdraiati si poteva prelevare il cibo dal tavolo centrale.


Insula Da Wikipedia. l’enciclipedia libera.

L’insula era un tipo edilizio che costituiva il condominio dell’antica Roma tardo-repubblicana e, poi, imperiale. Era abitata da famiglie povere.

Insula dell’Ara Coeli Roma del II secolo

Di user:Lalupa – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=559321

Descrizione

Per farci un’idea, sulla base di rinvenimenti catastali, a Roma sotto l’imperatore Settimio Severo, le insulae erano 46.602 rispetto alle 1797 domus se si pensa che Roma aveva una popolazione di circa 1,2 milioni su 2000 ettari di superficie. Nella forma più tipica si trattava di edifici quadrangolari, con cortile interno (cavedio), talvolta porticato, sul quale erano posti i corridoi di accesso alle varie unità abitative (diremmo oggi gli “appartamenti”). Questi edifici erano composti da un piano terra, in genere destinato a botteghe di vario genere (tabernae), dotate di un soppalco per deposito di materiali e/o alloggio degli artigiani più poveri, e da piani superiori, destinati agli alloggi, via via meno pregiati verso l’alto. Le unità avevano in genere da tre a dieci stanze, tra le quali una di solito era di dimensioni maggiori rispetto alle altre e in posizione migliore. Il primo piano, solitamente, ospitava le abitazioni di maggior pregio, spesso servite da una balconata lignea o in muratura su mensole, che percorreva l’intero affaccio stradale. Il prospetto a mattoni, in genere, non veniva intonacato, ma l’effetto policromo poteva comunque essere determinato dall’uso di laterizi di colori e tonalità diverse per i vari elementi architettonici. I solai e le coperture erano spesso sostenute da volte, che garantivano maggiore stabilità. Mancavano i servizi igienici, essendo notoriamente usate a tale scopo le latrine pubbliche e le terme.

A Ostia antica se ne conservano diversi tipi, a volte riuniti in caseggiati che comprendevano anche spazi per attività artigianali e servizi comuni (per esempio il caseggiato di Diana).

In particolare a Roma, si trattava di veri e propri palazzi di appartamenti in affitto (cenacula). Ampie parti (solai, sopraelevazioni, ballatoi) erano costruite in legno e a volte le nuove costruzioni si appoggiavano ai muri perimetrali di quelle precedenti, appoggiandosi le une alle altre. A causa dell’affollamento del centro cittadino, gli edifici erano giunti a svilupparsi in altezza anche sino a 10 piani, nonostante il tentativo di limitarne l’altezza per legge: sotto Augusto, il limite massimo di altezza era stato fissato a 70 piedi, pari a poco meno di 21 m, ma di fatto venivano tollerate entro certi limiti le sopraelevazioni in materiali più leggeri. In media comunque i piani erano quattro.

Le insulae di epoca imperiale (soprattutto a partire da Traiano e Adriano) furono caratterizzate da una notevole uniformità e razionalità nell’impianto, che erano frutto di quella particolare mentalità dei ceti mercantili e urbani ai quali esse erano destinate.

La costruzione delle insulae e il loro affitto costituiva, in particolare a Roma, un’importante fonte di reddito, in alcuni casi vennero messe in atto delle vere e proprie speculazioni: si risparmiava sulla quantità e qualità dei materiali da costruzione. Giovenale e Marziale tra la fine del I secolo e gli inizi del II, danno un vivido quadro della vita in queste abitazioni, tra il pericolo di crolli e incendi.

Dopo il grande incendio di Roma, l’imperatore Nerone dettò norme molto severe per la costruzione delle insulae, proibendo che avessero muri perimetrali comuni e sviluppo in altezza superiore ai 5 piani. Decretò inoltre che tutti gli edifici fossero costruiti prevalentemente in pietra e dotati di portici sporgenti dalla facciata, con servitù pubblica di passaggio e attrezzature antincendio. Traiano, a sua volta, ridusse i limiti di altezza imposti da Augusto, portandoli a 60 piedi (poco meno di 18 m). Le norme furono tuttavia largamente disattese e, tra la fine del II e gli inizi del III secolo, l’insula Felicles, nel Campo Marzio, viene citata quasi proverbialmente da Tertulliano (Adversus Valentinianos, 7) per la sua altezza

Strada con insulae a Ostia antica

Di iessi – Flickr, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1259830